Era il 26 febbraio, quando il CFO di Facebook, David Wehner, annunciava durante la Technology Stanley, Media & Telecom Conference 2019 l’arrivo del tool “Clear History”, una nuova funzione che darà agli utenti la possibilità di rimuovere le informazioni che il social network raccoglie su di loro dalle attività che svolgono su app e siti.
Come il funzionamento degli strumenti informatici si basa su un codice binario, così anche questa digital news ha una duplice natura la cui interpretazione cambia in base al fatto di essere o nell’input o nell’output del sistema d’interesse.
Input: una forte accelerata verso una sempre più attiva tutela della privacy dei consumatori.
Output: una potenziale botta d’arresto sull’efficacia dell’adv digitale.
Quasi tutti sanno infatti, utenti stessi compresi, che la forza della pubblicità online sta proprio nel riuscire a raggiungere con precisione matematica il target giusto e ciò è possibile grazie a vari strumenti di users analisys, come Facebook Pixel, che monitorano e analizzano i comportamenti degli utenti sul web.
I dati sono dunque il carburante del Digital Advertising e se ne vengono ridotte le scorte tutta la macchina irrimediabilmente ne risente.
Ma cos’ha spinto il più grande distributore, insieme a Google, di users data a fare un’inversione di marcia così epocale?
Per rispondere al quesito non occorre scomodare nessun Big Data Analyzer, ma basta semplicemente sintonizzarsi sul sentiment degli utenti che, in seguito ai grandi scandali di compravendita illegittima dei dati personali, vedi il caso di Cambridge Analityca, si è sempre più orientato verso la comprensione di come delle azioni gratuite come mettere un “like” diventino fonti di guadagno per aziende, agenzie pubblicitarie e ovviamente per i social network.
La risposta di Facebook a questa nuova necessità dei consumatori è ormai storia, o meglio Clear History, ma come reagiranno le realtà dell’advertising digitale che basano una consistente parte della loro revenue sull’efficacia dell’ad targeting è ancora tutto da vedere.
Se da una parte però lo stesso David Wehner riferisce che: “Clear History ci creerà degli ostacoli nella capacità di targettizzare in maniera efficace come prima”, dall’altra è bene specificare che i dati raccolti non saranno interamente eliminati, ma solo le info sulle identità degli utenti, che saranno rese anonime.
Questo porta a ipotizzare due macro tipologie di reazioni, o parlando di social, di “reactions” da parte del Digital Advertising:
. la prima, più complessa, potrebbe vedere la nascita di pubblicità più impattanti, di maggiore qualità, nate dalla consapevolezza che essendoci meno occasioni d’incontrare il target di riferimento dovranno centrare il loro obiettivo al primo colpo.
. la seconda, la più realistica, sarà quella di rivolgersi ad altre società o strumenti di data analitycs che al momento non sentono la necessità di fare cambi di rotta verso una maggiore tutela della privacy degli utenti.
È bene infatti ricordare che siamo nel bel mezzo dell’epoca dell’IoT, Internet of Things, dove anche un frigorifero, se collegato alla rete, può fornire preziose informazioni sul suo utilizzatore.
Molto probabilmente quindi, gli unici cambiamenti che vedremo riguarderanno al momento solo le tipologie di fonti a cui attingeranno le aziende.
Nonostante la domanda di una maggiore tutela della privacy sia un argomento sempre più sentito dai consumatori, non è infatti ancora così forte da influenzare a 360° l’offerta del mercato, ma ciò non toglie che nei prossimi anni non avvengano altri casi come Cambridge Analityca che scuotano in modo rilevante tutta la struttura della raccolta di dati online.
In ogni caso però, prima o poi la grande scossa avverrà e come sempre sarà il livello di lungimiranza che decreterà chi ne sopravviverà indenne e chi subirà forti crolli di guadagno.
La grande faglia della privacy nel bene o nel male si sta muovendo e non servono strumenti di data analisys per capire che non c’è modo di fermarla.
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